Il 25 aprile, tra testimonianze e celebrazioni

L'opinione Primo piano

di Antonio Viteritti

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Il 25 aprile di 75 anni fa l’Italia venne liberata dal nazi-fascismo grazie sopratutto alle forze alleate, ma anche grazie alla resistenza italiana, alla guerra partigiana durata venti lunghi mesi, dal settembre 1943 all’aprile 1945. In quel periodo tante e tanti italiani lasciarono le proprie case, le proprie famiglie, la propria vita, imbracciarono un fucile, andarono su per le montagne e iniziarono a combattere e lo fecero perché sentirono, proprio come dice un loro canto, l’amore per la loro patria, per la nostra patria. I partigiani sono un simbolo di unità nazionale, proprio così, un simbolo di unità. Voglio sottolineare ciò perché è notizia di pochi giorni fa che, durante un’intervista, il giornalista Vittorio Feltri, ha affermato senza mezzi termini che il Sud Italia è inferiore al Nord, con questo voglio ricordare che i nostri partigiani sono morti perché volevano una patria libera e un’Italia di nuovo unita. Oggi, ahi noi, i partigiani con le loro nitide testimonianze sono sempre di meno e purtroppo arriverà il giorno in cui l’Italia piangerà il suo ultimo partigiano, ma questo non deve scoraggiarci perché il loro ricordo deve restare vivo nelle nostre menti, nella nostra storia nazionale, perché è anche grazie a loro che l’Italia è la repubblica che oggi conosciamo. Tutto questo a volte viene dimenticato, addirittura, qualche anno fa, si era pensato di abolire le celebrazioni del 25 aprile, compresa “Bella Ciao”, il canto più famoso della resistenza, perché considerato un canto di partito. In realtà,  “Bella Ciao” è un canto nazionale, proprio perché simbolo di una storia a noi tutti cara. Siamo e siate orgogliosi di celebrare il 25 aprile e, in questa data, di intonare i versi di una delle canzoni più belle della nostra storia. I racconti dei nostri partigiani  diventano sempre più preziosi ed è necessario che vengano tramandati; questo è l’impegno che si sono imposti poco più di un anno fa i giornalisti Laura Gnocchi e Gad Lerner, che, in giro per tutta la Penisola, hanno realizzato circa 400 interviste, per la scrittura di un “Memoriale” con le testimonianze dei partigiani ancora vivi. Il lavoro sarebbe dovuto continuare, ma la diffusione del covid-19 non lo ha permesso. Delle 400 interviste, emozionante è quella della signora Maria Lucia Vandone, da sempre e per tutti “Cicci”, 97 anni residente in una casa di riposo vicino Pavia. Cicci Vandone è una ricca signora milanese che nel 1940 ebbe un incontro fulminante con Giorgio Paglia, errde della Italcementi. Insieme frequentarono il salotto del conte Luchino Dal Verme che diventerà capo partigiano nel Pavese. Insomma, una Milano che poteva accomodarsi nel regime e che invece scelse di essere contro. Giorgio era figlio di un eroe fascista, Guido, morto in Etiopia e medaglia d’oro, ma scelse la montagna. Cicci restò in città dove, fingendosi segretaria alla Banca d’Italia, fece logistica per i partigiani. Finché una spia non vendette Giorgio e i suoi compagni che sono catturati alla Malga Lunga sopra Bergamo. I fascisti in onore alla medaglia del padre, offrirono a Giorgio la grazia, alla quale replicò: “O tutti o nessuno”. Verrà ucciso con i compagni il 21 novembre 1944. “Ogni 21 novembre”, dice la signora, “mando sulla tomba di Giorgio dei ciclamini bianchi, il primo fiore che mi ha regalato e che ha segnato per sempre il nostro amore”.       Per fortuna l’italia è piena di belle storie come questa, anche la comunità Acrese ne conserva tante, infatti molti furono i concittadini che partirono per la guerra sia come partigiani sia come combattenti. Un esempio è la storia del Cavaliere Nicola Fusaro che partecipò come combattente alla seconda guerra mondiale col titolo di sergente. Nacque ad Acri il 7 settembre 1923. Nel gennaio del 1942 partì per il servizio militare, fu inviato a Firenze, precisamente a Poggio Imperiale, successivamente parti, insieme ai suoi compagni, per l’Albania. Durante un’operazione di guerra nel Montenegro, fu ferito da una bomba. Ritornato in Italia trascorse un paio d’anni al confine col la Svizzera, nell’aprile del 1945 subito dopo la liberazione tornò ad Acri. Invalido di guerra di prima categoria fu presidente dell’associazione mutilati e invalidi di guerra dal dopoguerra sino gli ultimi anni della sua vita. Fu consigliere comunale sotto la giunta del sindaco Spezzano e grazie al suo costante impegno civico, nel 1999 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lo insigní del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana. Nel 2013, invece, il presidente Giorgio Napolitano lo ha insignito del titolo di Ufficiale della Repubblica. Celebrò solennemente e con tanta passione per oltre 70 anni le ricorrenze del 25 aprile e del 4 novembre. Il suo motto  fu sempre “Viva la patria e viva l’Italia!”, con un occhio di riguardo sempre verso i giovani. La sua è stata l’ultima testimonianza diretta, sulla seconda guerra mondiale, per la nostra comunità. 

In questi giorni è bello ascoltare storie del genere. Ciò non deve accadere solo in un determinato periodo dell’anno, ma sempre, perché dai racconti di persone così abbiamo molto da imparare, perciò cari lettori buona Festa della Liberazione, buon 25 aprile.