La primavera è un’opera realizzata da Sandro Botticelli nel 1478 circa, per la residenza fiorentina di Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, cugino del Magnifico.
Il dipinto ora è conservato a Firenze, nella Galleria degli Uffizi.
Si deve a Sandro Botticelli l’aver riportato in vita l’interesse per i soggetti mitologici, comunque cari alla cultura umanistica del Quattrocento. A un pubblico abituato a vedere in prevalenza soggetti sacri, Sandro propone gli dei antichi e la loro corte di esseri mitici di cui i poeti classici avevano cantato le gesta e gli amori. In conformità alla filosofia neoplatònica, molto diffusa negli ambienti culturali fiorentini del tempo, il mito è rivissuto e proposto in chiave cristiana.
La scena è ambientata in una radura verdeggiante, punteggiata di innumerevoli piante e fiori. La delimitato alberi d’arancio, con fiori e frutti maturi, mirto e fronde incurvate di alloro.
La lettura del dipinto avviene da destra a sinistra, in base alle posture, all’orientamento e alle andature dei vari personaggi.
All’estrema destra Zèfiro, vento primaverile, bruciante di passione, insegue la ninfa della terra, Clori, che, viene trasformata in Flora, la personificazione stessa della Primavera. Botticelli raffigura per due volte la fanciulla: sia appena velata, come Clori, dalla cui bocca spuntano dei fiori, sia come Flora.
In questo secondo caso essa indossa una veste ornata di fiori, gli stessi che in ghirlande le circondano il collo e la testa e in tralci la stringono poco sotto il seno e le riempiono il grembo da dove essa li prende spargendoli dintorno.
Al centro, incorniciata come in una nicchia dai rami piegati degli alberi, Venere campeggia contro una pianta di mirto e avanza con passo di danza offrendosi a chi guarda.
Cupido le volteggia sopra mentre scaglia una freccia infuocata in direzione di una delle tre Grazie; queste danzano intrecciando leggiadramente le mani, mentre Mercurio (dio dei venti), al margine sinistro, allontana le nuvole dal giardino con il suo caducèo.
La scena rappresentata, che ha assonanze con i versi delle “Stanze” per la giostra del più influente poeta della cerchia medicea, è stata tratta, probabilmente, da un passo dell’Asino d’oro, il romanzo di Apulèio.
Nel brano in questione viene narrato come il protagonista del romanzo, mutato in asino, in attesa di riconquistare il suo aspetto umano, assista a una rappresentazione del Giudizio di Pàride nella quale compaiono tutti i personaggi dipinti dal Botticelli.
La presenza di Venere nella tavola in posizione centrale è un invito a Lorenzo di Pier Francesco a scegliere anche lui Venere come già fece Paride.
Scegliere Venere voleva dire scegliere l’humànitas: raffinatezza, cultura, educazione e civiltà; per avere successo e affermarsi nella vita, piuttosto che rimettersi al favore del destino.
Si tratta dunque di un soggetto dal valore pedagogico, la cui forza di persuasione sta in ciò che si vede. Questo nascondere dietro le rappresentazioni mitologiche messaggi e significati chiari solo a una ristretta cerchia di dotti e al destinatario dell’opera è tipico della pittura botticelliana.
I corpi, a similitudine degli abiti che li rivestono, non hanno peso.
Tutti i personaggi calcano il prato dal verde brillante, ma paiono appena sfiorarlo. L’illusione prospettica è ridotta all’essenziale.
La nicchia che accoglie Venere fa convergere sulla dea l’attenzione di chi guarda.
Su tutti i personaggi, però, aleggia una sottile tristezza che rende severa anche la leggiadra danza delle Grazie.
Le tre fanciulle, avvolte nel vapore lieve dei veli che le rivestono, scandiscono il ritmo stesso della danza. All’armonia del ballo sembrano contribuire anche gli altri sei personaggi attraverso le loro movenze.