Martire o delinquente?

Attualità L'opinione Primo piano

di Alessandro Liguori

Partiamo da un presupposto: l’argomento trattato è estremamente delicato ed è oggetto di indagine degli inquirenti e, pertanto, si cercherà di essere il più oggettivi possibile. È notte, una notte come tante. Nel quartiere Santa Lucia (lungomare di Napoli) un ragazzo di 15 anni, con un complice più grande di lui, si arma di una pistola giocattolo e di un motorino. Ugo Russo, questo il nome del ragazzino quindicenne alla guida dello scooter, avvista “una macchina bella”: una Mercedes. A bordo un giovane carabiniere in borghese.  Ugo Russo non ha nessuna esitazione: punta la pistola alla tempia del malcapitato con l’intento di sequestrargli il Rolex che porta al polso.  Il carabiniere, preso dal panico, esplode 3 colpi, due dei quali saranno letali per il giovane. Secondo le prime ricostruzioni, confermate anche dall’autopsia, il ragazzo sarebbe stato colpito alle spalle e, dunque, mentre si dava alla fuga. Tuttavia la dinamica sarebbe ancora da chiarire così come da chiarire è il perché il carabiniere avesse con sé l’arma pur non essendo in servizio. Ogni ipotesi è al vaglio degli inquirenti. Quanto accaduto, però,  ha diviso l’opinione pubblica e gli abitanti del capoluogo campano.  Il padre della vittima, pur affermando che il figlio ha pagato caro il suo gesto, difende il carabiniere e partecipa ad un flash mob a sostegno dell’Arma. Il web si spreca in commenti di ogni genere:  “ come mai un carabiniere possedeva un Rolex e una Mercedes ?” oppure, al contrario,  “non possiamo sempre difendere i delinquenti”. Tuttavia il web spesso è saturo di gente che parla “tanto per farlo” e che fan a gara a chi la spara più grossa, spesso preferendo l’insulto ad un’analisi oggettiva, lasciando, dunque,  il tempo che trova. È importante analizzare da un punto di vista sociale quanto accaduto, ponendosi alcuni interrogativi fondamentali: come mai un ragazzo di 15 anni si ritrova nel cuore della notte a girare per Napoli senza il minimo controllo da parte dei genitori? Come ha fatto a reperire quella pistola giocattolo? E il motorino? Tutto questo non è altro che il risultato di una società malata nella quale viviamo, una società in cui non conta più l’essere ma l’apparire, in cui  “la bella macchina” ha più valore di “una bella cultura”. I ragazzi, spesso abbandonati a loro stessi, hanno l’ossessione di “dover diventare grandi subito”, rincorrendo un’indipendenza che spesso di rivela controproducente. Questa società ha come unico sbocco la violenza, ne è l’esempio la reazione degli amici e dei parenti del giovane che, alla notizia della morte, hanno aggredito medici ed infermieri del nosocomio presso cui era stato soccorso, distruggendo letteralmente attrezzature e oggetti.  Certo, ci lascia sconcertati anche la facilità con la quale le armi, vere o finte che siano, circolano nelle nostre città.  Forse è vero che non siamo poi così diversi dagli uomini primitivi e dai cowboy, senza regole e prede dell’istinto e della sopraffazione.  Forse un giorno si capirà la reale pericolosità delle armi e, magari, si correrà ai ripari prima che sia troppo tardi, prendendo coscienza che in una società, che si reputa civile, un ragazzo di 15 anni ha il diritto di vivere la propria adolescenza e la propria spensieratezza e che per fare i grandi è meglio aspettare il tempo opportuno.

 

“Non è mai una persona sola a morire, mai. Ad ogni sparo moriamo tutti un po’.” (Bones, serie tv)